Smart working e colloquio di valutazione. Cosa cambia?

 In Work - Formazione e Coaching

Come le grandi organizzazioni stanno rispondendo all’emergenza CoviD19 e come cambia il colloquio di valutazione annuale. L’intervista a Fabio Sacco, Head of People Protection and Travel Security, di una nota multinazionale italiana.

Il secondo bimestre dell’anno è il periodo in cui i direttori, manager, responsabili, capi reparto e di settore, devono inserire nelle loro attività quotidiane il colloquio di valutazione annuale con i membri del proprio team.  Quando quest’ultimo è composto da un numero importante di risorse l’impegno diventa gravoso in termini di tempo sottratto ad altre mansioni causando stress e spesso la tendenza – consapevole o inconsapevole – a “liquidare” ognuno in pochi minuti di conversazione, spesso inefficace, causando danno nella motivazione del valutato che al contrario e giustamente assegna al momento un grande significato.

Molte sono le organizzazioni che continuano a considerare l’incontro come un mero passaggio di informazioni — improntato soprattutto sul giudizio nei confronti del valutato — sprecando così una grande opportunità. Il colloquio di valutazione, infatti, deve essere un momento di coinvolgimento, condivisione e apprendimento per entrambe le parti. Un’occasione unica per fare il punto, aggiustare il tiro, scambiarsi feedback, opinioni, raccogliere bisogni e rafforzare la fiducia di un attore verso all’altro.

Quest’anno l’emergenza pandemica ha portato con sé la necessità di dare precedenza alle urgenze bloccando inevitabilmente in molte aziende il ciclo di appuntamenti già fissati. Già nelle settimane scorse però anche per i colloqui è giunto il tempo di fare i conti con le obbligate novità: lo smart working e il carico di emozioni tutto da gestire. È giusto chiedersi allora quanto questo stia incidendo sull’empatia, l’ascolto e la concentrazione che la valutazione richiede.  

Per avere un riscontro in merito ho parlato a lungo con un caro amico e grande professionista: Fabio Sacco, Head of People Protection and Travel Security di una tra le più grandi aziende italiane. L’incontro partito con l’intenzione di tenere il focus sul colloquio è diventato – grazie alla disponibilità e pensiero critico dell’intervistato – una riflessione a tutto tondo sullo smart working e il suo utilizzo nelle grandi organizzazioni. Di seguito uno stralcio.

Fabio, come stanno procedendo le attività di smart working?

Dopo più di due mesi di smart working continuativo posso affermare che va tutto bene e si riesce a lavorare con piena produttività anche se all’inizio non è stato semplice né immediato adeguarsi.

Avevi già avuto modo di lavorare in questa modalità?

 Sì certo, da noi lo smart working non è una novità. La prima sperimentazione ci fu nel 2016. Io ho aderito, con molto entusiasmo appena me fu data la possibilità, l’anno successivo. Prima di questo periodo di emergenza però era possibile lavorare in smart working solo un giorno a settimana concordato con il proprio responsabile in modo da non superare mai più del 25% del team da remoto contemporaneamente.

È stata creata una “banca delle ferie”, grazie alla quale ho avuto la possibilità di donare 2 dei miei giorni di ferie

Poi il Covid-19 ha radicalmente cambiato tutto all’improvviso. La tua azienda come ha reagito?

L’azienda ha reagito subito con un duplice obiettivo: salvaguardare innanzitutto la salute e la sicurezza delle persone e continuare a dare il proprio contributo per la stabilità del sistema Paese. L’azienda non poteva fermarsi, la continuità del servizio doveva essere garantita, in Italia e nel resto del mondo. Aver anticipato i tempi, sia dal punto di vista organizzativo che tecnologico, ci ha permesso di non farci trovare impreparati. Il 55% dei dipendenti nel mondo è stato messo nelle condizioni di poter lavorare in smart working finché l’emergenza non sarà passata. Il restante 45% è rappresentato da personale operativo il cui lavoro non è remotizzabile e che, purtroppo, non ha avuto la mia stessa fortuna. Molti di questi, per fronteggiare l’emergenza, hanno dovuto consumare ferie e giorni di permesso. Come atto di solidarietà tra colleghi è stata creata una “banca delle ferie”, grazie alla quale ho avuto la possibilità di donare 2 dei miei giorni di ferie (in totale ne sono già stati donati più di 20mila!).

Ottima iniziativa di grande empatia. Complimenti! Invece nello specifico come sei intervenuto per tenere alta la motivazione del tuo team?

Considera che oggi tutte le persone del mio team, come tutti i colleghi con cui interagisco, lavorano in smart working. Per le prime settimane ci siamo “visti” tutte le mattine con una videocall di gruppo che è servita a sentirci meno abbandonati a noi stessi. Il rischio di sentirsi isolati era molto concreto ed era importante continuare a sentirsi parte di un’unica squadra, coscienti del fatto che fortunatamente tutte le nostre attività potevano essere portate avanti esattamente come se fossimo stati in ufficio. In parte eravamo già abituati a non dare per scontata la presenza fisica perché una delle persone del mio team lavora da Napoli, mentre noi altri da Roma. Ora abbiamo trovato la nostra dimensione “lavorativa-casalinga”. Non è semplice gestire i bambini che giustamente pretendono attenzioni o le tante distrazioni che possono esserci dentro casa, ma abbiamo imparato a gestire le diverse situazioni e siamo diventati anche più comprensivi di fronte agli imprevisti.

Gli orari sono diventati più flessibili, spesso a discapito del work-life balance.

Un’importante riflessione che si è aperta in questi giorni riguarda gli orari di lavoro che diventano inevitabilmente più lunghi. Concordi?

È un aspetto da considerare. Gli orari sono diventati più flessibili, spesso a discapito del work-life balance. Personalmente cerco di evitare telefonate o di fissare riunioni oltre l’orario standard di ufficio. Questa condizione ha sicuramente il vantaggio di poter organizzare il lavoro anche in base alle proprie esigenze personali, a patto che questo non diventi una disponibilità h24. Stare a casa non significa essere sempre operativi, soprattutto per chi ha una famiglia da gestire. Capito questo, tutto il resto è solo una questione di organizzazione delle attività.

Riesci a sintetizzare i vantaggi più immediati che si riscontrano operando in smart working?

Il più importante sicuramente è l’abbattimento del tempo perso (e dell’inquinamento correlato!) negli spostamenti casa-ufficio. A volte evitare di andare in ufficio i giorni di sciopero o di caos preannunciato si è rivelata una salvezza per chi, come me, ha sempre utilizzato i mezzi pubblici (metro+bus o metro+tram). Anche nei giorni di pioggia ho sadicamente goduto al pensiero di non dover uscire di casa. Chi lavora a Roma sa cosa vuol dire spostarsi per la città in un giorno di pioggia. A questo vantaggio naturalmente si è aggiunta la possibilità di stare più tempo con la mia famiglia: pranzare con mia moglie e andare a prendere mio figlio a scuola sono privilegi che mai avrei pensato di potermi permettere nei giorni lavorativi.

È momento di colloqui anche per voi? Com’è strutturato il processo di valutazione nella tua azienda?

Si, anche da noi è il momento delle valutazioni annuali. Si tratta di un processo che vede prima una fase di valutazione (da parte del diretto responsabile, sulla intranet aziendale) dei comportamenti delle persone rispetto a quelli che sono i nostri quattro pillar principali: Responsabilità, Innovazione, Fiducia e Proattività. Successivamente più gestori si riuniscono per la fase di calibration delle valutazioni rispetto ai colleghi della stessa Unità, in modo tale da avere una uniformità di giudizio. A volte capita che i voti iniziali possano essere modificati ma questo è sempre frutto di una condivisione di una stessa modalità di valutazione quanto più possibile omogenea. Alla fine del processo la valutazione viene commentata con la persona in un colloquio di feedback. Quest’anno posso affermare con orgoglio che le mie valutazioni sono state modificate complessivamente di un quarto di punto, cioè il minimo scarto possibile. Segno di una valutazione onesta e corrispondente al feeling generale dell’Unità.

L’atto finale di questo processo è il colloquio con il valutato. Sappiamo quanto sia importante che il valutatore abbia chiaro il valore implicito che contiene. Cos’è cambiato con l’obbligo di svolgerlo in remoto?

Oltre al freddo numero, che rappresenta il voto sintetico della performance, abbiamo la possibilità di aggiungere un commento in cui possiamo evidenziare gli aspetti positivi e gli spunti di miglioramento. Questo è sempre un ottimo punto di partenza per iniziare il colloquio di feedback.

La particolare condizione di quest’anno ci ha costretto ad organizzare i nostri incontri esclusivamente da remoto. Si è trattata di una modalità inedita per tutti. Essendo una scelta obbligata, non è stata presa in maniera negativa né da una parte né dall’altra, anche se tutti i colloqui sono iniziati con la condivisione del rammarico di non potersi vedere di persona. Con i propri collaboratori si crea sempre una particolare empatia, frutto di un lavoro “gomito a gomito” e di una disponibilità a “darsi una mano” nei momenti di difficoltà. Nell’epoca del distanziamento sociale certi modi di dire assumono un significato quasi anacronistico.

Importantissimo darsi dei feedback continui, giorno per giorno

Come hai agito per creare le condizioni ottimali affinché il valutato potesse sentirsi a suo agio ed esprimersi al meglio durante il colloquio?

Ho preferito svolgere il colloquio di feedback in audio-conferenza, a telecamere spente. Ho notato, in queste settimane, una certa riluttanza generalizzata ad attivare la webcam. È un atteggiamento che capisco, una telecamera che entra dentro casa è un po’ come una violazione della propria privacy. Ciò non toglie che ci siano occasioni in cui è bene “farsi vedere”. La difficoltà di un colloquio audio è l’assoluta mancanza di segnali provenienti dal linguaggio del corpo. Su questo c’è una letteratura sconfinata e non mi dilungherò sugli aspetti negativi. L’unico appiglio per carpire l’emotività del momento è stato rappresentato dal tono di voce e dall’impostazione iniziale che è stata data al colloquio. Devo riconoscere che tutti i miei collaboratori si sono subito posti in maniera positiva e serena, anche grazie al fatto che si sono travati d’accordo con le valutazioni che avevano ricevuto. Tutto questo ha reso il colloquio una bella chiacchierata in cui sono stati evidenziati gli aspetti positivi e le possibilità di crescita e miglioramento, cercando sempre di tener conto delle attitudini della persona. Va ricordato che è importantissimo darsi dei feedback continui, giorno per giorno, su ogni attività che si fa. In questo modo la valutazione non sarà mai una sorpresa e il colloquio sarà semplicemente una conferma di argomenti già trattati nel lavoro quotidiano.

Il prezzo più alto è stato pagato dalle donne, che rappresentano l’unico sistema di welfare che sicuramente funziona nel nostro Paese

Hai scoperto nuove capacità nei tuoi collaboratori durante la quarantena? Le hai fatte notare durante il colloquio?

Decisamente sì! Ho molto apprezzato le capacità organizzative di alcune persone, soprattutto chi, all’improvviso, si è trovato a dover riorganizzare tutta la sua vita e dei propri congiunti. Tutte le famiglie, praticamente in tutto il mondo, hanno dovuto adattarsi a questa nuova vita da reclusi in casa. Non è stato facile per nessuno, dal single costretto a non avere più rapporti umani alle famiglie con bambini o anziani da accudire. In questo scenario il lavoro da remoto, con tutte le difficoltà che comporta, poteva essere un motivo in più di stress. Sicuramente il prezzo più alto è stato pagato dalle donne, che rappresentano l’unico sistema di welfare che sicuramente funziona nel nostro Paese. Anche per gli uomini non è stato semplice adattarsi alla nuova condizione, tra mille difficoltà dovute al lockdown. Perfino organizzarsi per andare a fare la spesa ha richiesto competenze di project management.

Vero, tutti noi ci siamo scoperti molto altro durante il periodo di quarantena! Per chiudere che dici di condividere l’elenco che abbiamo buttato giù insieme con gli aspetti da non dimenticare per svolgere un buon colloquio di valutazione?

Certo, tenendo sempre fermi i punti essenziali per svolgere un buon colloquio (definire gli obiettivi, preparare una buona strategia di comunicazione basata sull’ascolto e le domande aperte, analizzare insieme i risultati e il futuro etc.) è importante, in questo periodo, soffermarsi con ancora più attenzione sui punti che abbiamo individuato insieme.

Allora ecco alcuni consigli facili e essenziali – messi a punto con Fabio Sacco – per svolgere un colloquio efficace in tempi di post-quarantena.

  • Dare dignità all’incontro. Se il colloquio si svolge con webcam accesa – com’è auspicabile – e i vostri collaboratori nei giorni passati hanno partecipato a meeting dove vi siete “tirati a lucido” è importante dimostrare di esservi preparati all’incontro con la stessa cura. Questo ovviamente non significa presentarsi con il vestito scuro, soprattutto se il rapporto è informale, ma neanche dare l’impressione di essere appena usciti da sotto il piumone.
  • Curare il setting. Se non avete uno studio in casa scegliete di collegarvi da un luogo silenzioso senza rumori di fondo, adatto alla situazione e protetto da eventuali interruzioni (ingresso di figli, figure che passano alle vostre spalle etc.). Permetterà di mantenere alta l’attenzione, dimostrare reale interesse e non perdere nulla dell’esperienza che state vivendo. Prima dell’incontro accertatevi che il vostro collaboratore faccia lo stesso.
  • Disattivare o silenziare notifiche sul pc e smartphone per evitare distrazioni. Anche attraverso una webcam è facile accorgersi se gli occhi dell’interlocutore sono in quelli dell’altro o sta leggendo una mail, chiudendo dei file o rispondendo a messaggi su WhatsApp. Fuggite dalle tentazioni.
  • Rispettare i tempi concordati. Inevitabilmente lavorare da casa incide sulla cognizione del tempo. Ricordate che il vostro collaboratore, come voi, è atteso da altre mansioni lavorative e familiari da svolgere. Concordate un orario di apertura e chiusura e cercate di rispettarlo. Questo vi aiuterà anche ad essere concreti ed efficaci nella comunicazione.
  • Esprimere un reale interessamento circa le emozioni vissute dal valutato in fase di quarantena. Fare domande specifiche su come si è sentito, come ha vissuto il momento, come ha reagito alla nuova organizzazione, se ha dei consigli in merito, se c’è qualcosa che l’azienda avrebbe potuto fare e non ha fatto.

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