Perché conformarsi non è quasi mai una buona scelta

 In Work - Formazione e Coaching

Tutti ne siamo in qualche modo vittime, anche chi è certo di dire in ogni momento ciò che gli passa per la testa — e su quanto questo sia giusto aprirò un giorno un altro capitolo  — o di agire sempre secondo coscienza.

Si tratta del conformismo “un cambiamento di comportamento o di credenza in direzione del gruppo quale risultato della pressione reale o immaginaria del gruppo stesso” secondo la definizione di Kiesler (1969) o più semplicemente la tendenza del singolo a cambiare le proprie idee o comportamento in modo da uniformarsi al gruppo di appartenenza.

È un fenomeno incluso in dinamiche importanti come il bullismo o casi di violenza collettiva ma alzi la mano chi, fra amici o in ufficio, non si è mai ritrovato a fare qualcosa di cui non era convinto o semplicemente ha evitato di prender parola lasciando così decidere gli “altri”.

I motivi per cui questo accade sono diversi: dal desiderio di mantenere buone relazioni sociali al bisogno di dimostrarsi flessibili fino ad arrivare a cause più profonde legate alla bassa autostima, alla scarsa capacità di comunicare e alla convinzione di non poter esercitare un controllo sulle situazioni che si stanno vivendo. Così come, in un’analisi più dettagliata, bisogna considerare i fattori che influenzano questa tendenza: l’età, il ceto sociale, il genere, le caratteristiche del gruppo e così via.

Differenti modalità, contesti e cause nelle quali però sempre si verifica un meccanismo di influenza sociale che, a seconda dei casi, si esplicita:

  • Come costruzione e condivisione di una norma: di fronte ad uno stimolo ambiguo (ovvero che può essere percepito in modo diverso) l’individuo tende a mantenere una valutazione soggettiva che non subisce variazioni fino a quando non si confronta con quelle prodotte da altri individui. A quel punto abbandona senza remore il suo punto di vista per aderire ad una norma di gruppo che tutti ritengono più corretta.
  • Come acquiescenza: se lo stimolo ambiguo è legato alla percezione quindi più discutibile, Asch ha dimostrato che addirittura di fronte ad una maggioranza palesemente “sbagliata” ma unanime l’individuo tende comunque a modificare il suo giudizio o almeno riconsiderarlo. E per convincervi di questo guardate qui.
  • Come obbedienza all’autorità: Milgram attraverso l’esperimento celebre al punto di diventare una puntata dei Simpson e persino un film (Experimenter), partendo da riflessioni sul comportamento di gerarchi nazisti, ha dimostrato che il conformismo giunge a coinvolgere azioni concrete per quanto possano essere distruttive o contrarie ai valori della persona che le esegue. Questo perché sente la necessità di soddisfare le richieste di chi viene individuato come autorità.

Il conformismo così come il group thinkovvero il desiderio di raggiungere l’unanimità del gruppo per non rovinarne la coesione, sono modi di operare che possono influire negativamente, soprattutto nei casi in cui è forte la necessità di ricevere input, idee, opinioni dai membri per scegliere quella che concretamente risulta essere la proposta migliore (teamworking; progettazione; piani di emergenza).

Dunque se proteggersi dal conformismo lavorando sull’autostima e l’assertività del proprio atteggiamento è importante per l’individuo diventa una responsabilità primaria per team leader, responsabili e coordinatori onde evitare che fra i propri collaboratori si verifichi:

  • impoverimento delle idee a discapito del risultato
  • scarsa comunicazione
  • insoddisfazione e/o emarginazione dei soggetti più riservati
  • aumento di rischi dovuti a diagnosi incomplete e/o errate

Mai dimenticare che la soluzione potrebbe giacere proprio nella testa di chi fatica a comunicarla!

A questo proposito sono state messe appunto una serie di tecniche per stimolare il  pensiero divergente e garantire democrazia nell’esposizione delle idee. Fra queste:

  • Brainstorming: libero sfogo all’inventiva. I partecipanti sono incoraggiati ad esprimersi liberamente senza autocensura né critica. Per quanto potente questo metodo tende comunque a isolare i soggetti più passivi che non riescono a inserirsi nella discussione.
  • Gruppo nominale: i partecipanti vengono invitati prima a scrivere e poi a leggere la propria idea senza uno scambio verbale di apertura così da non influenzarsi. Le idee vengono poi votate in modo palese o in anonimato. Una variante efficace consiste anche nel proporre le idee stesse in anonimato e poi discuterle.
  • Avvocato del diavolo e/o dell’angelo: nel primo caso viene chiesto ad uno o più soggetti scelti di analizzare in modo critico tutte le proposte avanzate dalla restante parte del gruppo, poi si procede a rivederle una per una e modificarle. Nel secondo invece tutti gli aspetti positivi partendo dalla formula “Questa idea mi piace perché…”. Strategico utilizzarle entrambe in modo da evidenziare i punti di forza e i rischi di ogni singola proposta.

È sottinteso che il primo sforzo va compiuto dal coordinatore nell’osservazione costante dei propri collaboratori, nella verifica frequente degli equilibri del team e soprattutto in una assidua autoanalisi per essere certo di non essere egli stesso inibitore della libera espressione altrui.

C’è poi una categoria a parte: i conformisti che si credono anticonformisti. Sono forse i più difficili da trattare e dunque “meritano” una parentesi a parte che mi riprometto di trattare a breve!

 

 

 

 

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